Pesaro si dà al mare su un fronte di diciotto chilometri; sul suo arenile c'è spazio e sabbia per tutti, acque sicure per i bambini, moderne attrezzature e servizi turistico-sportivi efficienti. La vita è attiva, ma senza impazienze e si svolge tra allettanti richiami di boutiques, botteghe d'arte. Sulle colline, due strade panoramiche abbracciano un incantevole panorama tra il verde delle valli e l'azzurro del mare: il contatto con la natura è costante. Indimenticabili i colori del porto all'ora del tramonto.
L'antica Pisarum dei romani, attraversando la storia, è diventata una città "vera", con i suoi monumenti, il Palazzo Ducale, la Rocca, la Cattedrale dalla facciata duecentesca, i portali gotici di alcune sue chiese; una città che conserva nei suoi Musei le più belle ceramiche rinascimentali ed i reperti della vicina necropoli di Novilara. Nei dintorni svetta l'Imperiale, la villa-castello edificata tra '400 e '500, e più su, nella valle, l'Abbazia di San Tommaso in Foglia, il più antico monumento della provincia dopo la Chiesa di San Decenzio a Pesaro. Si scrutano l'un l'altro i castelli di Montefabbri, di Montelabbate, di Monbaroccioe, tra il verde del bosco, emerge l'antico Convento del Beato Sante.

Palazzo Ducale
Il nucleo originario risale alla signoria di Malatesta dei Sonetti (1368-1429), di cui costituì la residenza. L'avvento degli Sforza portò ad un ampliamento della dimora ducale: tra il 1460 e il 1465 Alessandro Sforza diede inizio ai lavori per la costruzione del corpo frontale porticato e del grande salone Metaurense (m. 35x16,5). Nel Palazzo è inglobato il sito delle quattrocentesche residenze dei Malatesta e degli Sforza, ristrutturate ed ampliate fino a raggiungere le attuali dimensioni dai duchi Dealla Rovere tra il 1523 ed il 1621. Restauri ed ampliamenti furono affidati agli architetti ducali Girolamo e Bartolomeo Genga, Filippo Terzi e Niccolò Sabbatini. Per le decorazioni furono chiamati artisti illustri, tra cui lo scultore Federico Brandani ed i pittori Taddeo Zuccari e Ludovico Carracci. Dopo la devoluzione del Ducato alla Santa Sede nel 1631, il Palazzo divenne l'abitazione dei Cardinali Legati; dopo la proclamazione del Regno d'Italia è diventato sede della Prefettura. Unica parte ancora riconoscibile del quattrocentesco palazzo sforzesco è il corpo rettangolare posto all'angolo del Corso XI Settembre con Piazza del Popolo. Della facciata quattrocentesca è rimasto il prospetto principale con l'ingresso d'onore; il piano terreno si apre in sei grandi arcate impostate su massicci pilastri di pietra, alcuni capitelli dei quali recano le ali di un drago, impresa degli Sforza. Un massiccio portale rettangolare conduce dalla loggia al vestibolo; all'estremo opposto dalla corte un elaborato portale, databile al 1548, dà accesso allo scalone principale che conduce al piano nobile. In anni recenti sono stati effettuati interventi di ripulitura della facciata e di recupero delle pitture e dei marmi: lavori di restauro sono tuttora in corso nelle parti interne.

Rocca Costanza
Fatta costruire nel 1474 dal Signore di Pesaro Costanzo Sforza, da cui prese il nome, fu terminata nel 1505 sotto la signoria del figlio Giovanni. E' opera del celebre architetto dalmata Luciano Laurana, che vi lavorò fino alla morte, avvenuta a Pesaro nel 1479. Esempio tipico di fortezza quattrocentesca, ha pianta quadrata conq uattro grandi torrioni agli angoli ed è circondata da un ampio fossato, oggi trasformato in giardino all'inglese. Nell'arco di accesso sono scolpiti capitelli con gli stemmi degli Sforza; ai lati, sotto ghirlande scolpite, due iscrizioni sono dedicate a Costanzo e Giovanni Sforza. Nel 1500 il Valentino (Cesare Borgia), espugnò la rocca: per cancellare ogni memoria sforzesca fece eliminare i decori del Cortile d'Onore e distruggere molte parti sia interne che esterne della fortezza. Durante la signoria roveresca è stata inglobata nel perimetro pentagonale delle mura urbiche. I rifacimenti subiti, soprattutto nel 1657, hanno trasformato radicalmente sia l'originario impianto sforzesco che quello successivo roveresco. Adibita a carcere giudiziario fino al marzo 1989, ha subito ulteriori rifacimenti anche nel nostro secolo. Nel 1989 sotto la direzione della Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Ambientali delle Marche, sono stati attuati interventi di consolidamento e di restauro delle parti più degradate.

La Cattedrale
La cattedrale paleocristiana, assegnabile al V secolo, fu posta sin dall'inizio entro il perimetro di Pesaro romana, nella medesima sede in cui ancor oggi si trova l'attuale duomo. Per l'assenza di notizie non sappiamo a chi per primo sia stata consacrata, ma certamente fu dedicata a San Terenzio soltanto in epoca medioevale: nel 1447 le sue reliquie furono collocate sotto l'altare maggiore. La cattedrale fu sottoposta ad una radicale ristrutturazione iniziata nel 1865, sotto la direzione dell'architetto fermano Giambattista Carducci (1806-1878); fu di nuovo consacrata nel 1903. Durante tali lavori avvenne la sensazionale scopert dell'ampio mosaico pavimentale che si estendeva per tutta la chiesa e di cui fino ad allora si possedevano solo parziali notizie. L'ampia stesura musica venuta alla luce fu però inconsultamente risepolta sotto il nuovo pavimento del duomo: nel 1949-50 è stato reso visibile, limitatamente a due piccole porzioni della navata centrale, attraverso due botole. La stesura musiva della navata, nel suo impianto originario - ad eccezione quindi dei rifacimenti posteriori che sono da ascrivere ad epoca medioevale - è stata considerata databile verso la metà del VI secolo. Da una cinquantina d'anni il problema dei mosaici della cattedrale è tornato ad essere attuale nella nostra città. Sotto la direzione della Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Ambientali delle Marche nel 1990 sono iniziate le complesse operazioni di scavo, ancora in corso, nel sottosuolo della cattedrale per il completo recupero del litostroto. L'aspetto architettonico del duomo attuale è quello assunto dalla chiesa dopo l'integrale ricostruzione ottocentesca, che ne lasciò intatta la facciata medioevale (sec. XIII), che costituisce per Pesaro l'unico esempio, relativamente integro, di architettura romanica. Il semplicissimo portale ogivale trecentesco, in pietra bianca, è fiancheggiato da due paraste, alla base delle quali sono posti i due leoni, già stilofori, sculture romaniche databili tra il XII e XIII secolo. Le ristrutturazioni ottocentesche del Carducci hanno fatto sparire le ultime decorazioni dell'edificio originario e ridotto allo stato attuale l'iterno, a croce latina e a tre navate scompartite da robusti pilastri che sorreggono un soffitto a cassettoni, con ampia cupola nella crociera, secondo schemi basilicali ormai largamente collaudati e superati. Preferibile appare l'esterno nella sua geometria di semplici volumi accostati e sovrapposti: l'ottagono della cupola, il semicilindro dell'abside e la torre campanaria con le grandi aperture ad arco.

Chiesa di Santa Maria Maddalena
Di origini molto antiche e consacrata nel 1325, affiancava il convento delle Benedettine, le cui notizie risalgono al 1269; nel 1553 divenne mausoleo degli Sforza. Nel 1739 il noto architetto Luigi Vanvitelli firmò il progetto per la riedificazione della chiesa, eseguita dall'allievo Antonio Rinaldi e protrattasi dal 1740 al 1745. Per gli altari della chiesa furono commissionate tre grandi tele al pittore pesarese Giannandrea Lazzarini, che le realizzò tra il 1744 ed il 1748. Dopo i restauri effettuati nel 1994 esse si possono ammirare nella loro originaria collocazione: sull'altare maggiore La Maddalena e le Marie al Sepolcro, sull'altare di sinistra Il riposo durante la fuga in Egitto, sull'altare di destra San Benedetto accoglie i Santi Mauro e Placido. Dal 1861 l'espropriazione dei beni ecclesiastici, successiva alla costituzione del Regno d'Italia, coinvolse la chiesa che venne sconsacrata; il convento subì vari passaggi d'uso finchè negli anni '60 i ruderi dell'antico monastero furono definitivamente rasi al suolo per lasciare spazio all'attuale scuola media "Picciola".

Chiesa del Nome di Dio
La costruzione risale al 1577, per volere della Compagnia del Nome di Dio, una delle più ricche confraternite laiche pesaresi: è l'unico esempio rimasto a Pesaro di edificio religioso concepito come unità architettonica e scenografica. L'interno ha conservato la forma originale, mentre l'esterno, arricchito nel 1763 dall'architetto pesarese Giannandrea Lazzarini da un portale in pietra d'Istria, è stato restaurato nel 1912. Tra il 1617 ed il 1619 è stata eseguita la copertura del soffitto, in cui grandi tele vennero inserite in strutture a cassettoni ed in parti lignee: lavoro realizzato dallo scenografo ed architetto Giovanni Cortese (1569-1629), a cui si deve anche il pregevole soffitto del Salone Metaurense nel Palazzo Ducale di Pesaro. L'incarico per l'esecuzione dei dipinti fu dato al pittore pesarese Gian Giacomo Pandolfi (1567-post 1636), confratello del Nome di Dio; la copertura delle pareti laterali fu eseguita tra il 1634 ed il 1636 dallo stesso Pandolfi con la collaborazione di Niccolò Sabbatini (1574-1654). La suggestiva sagrestia conserva ancora i sedili per le riunioni dei confratelli e le tele raffiguranti angeli con i simboli della Passione di Cristo, opera di Giuseppe Oddi (Pesaro ?-1728).

Chiesa di Sant'Ubaldo
Fu fatta costruire tra il 1610 ed il 1618 dalla Comunità di Pesaro in adempimento del voto per la nascita dell'erede del Duca Della Rovere, nato il 16 maggio 1605 , nel giorno di Sant'Ubaldo, al cui culto la chiesa venne dedicata. L'edificio sacro conserva nella cupola ricoperta in piombo caratteristiche architettoniche tardo cinquecentesche, pur avendo subito in seguito numerosi rifacimenti. Il progetto a pianta ottagonale è opera dell'architetto pesarese Francesco Guerrini. Nel 1853 fu rifatta la facciata in stile neoclassico. Sull'altare centrale era posto un crocifisso in legno (XVI sec.), eseguito dal bassanese Agostino Vannini, ora ospitato nelle depositerie dei Musei Civici in attesa di restauro: al suo posto è stato collocato un crocifisso in legno di manifattura artigianale novecentesca.
Nella chiesa è conservata la tomba voluta da Francesco Maria II Della Rovere per le spoglie dei genitori Guidubaldo II e Vittoria Farnese. Dal 1927 è stata trasformata in cappella dedicata ai pesaresi caduti in guerra.

Villa Caprile
Fu costruita a partire dal 1640 per volere del marchese Giovanni Mosca, in un periodo in cui grazie al rinnovato clima politico e culturale nobili famiglie cittadine intraprendono la costruzione extra moenia di residenze in cui trascorrere i propri momenti di svago. Villa Caprile nasce dunque dettata da esigenze di rappresentanza e di svago non di controllo e gestione della azienda agricola che da sempre la fa contorno. L'attuale complesso è il frutto di successive aggiunzioni fra le quali la più interessante è quella avviata nel 1763 per opera del marchese Carlo Mosca.Sarà con questi lavori che verrà previsto l'ampliamento del giardino e la realizzazione dei giochi d'acqua.
Villa Caprile non presenta, se paragonata con l'imperiale, caratteri di particolare interesse per quanto riguarda l'aspetto planimetrico-distributivo. Una rigida simmetria sia strutturale che distributiva caratterizza il primo impianto seicentesco restaurato durante i lavori settecenteschi. A questo periodo risale la realizzazione della torretta centrale che appesantisce l'intero prospetto. La parte settecentesca è collegata all'impianto più antico da un passaggio aereo e al suo interno è contraddistinta dagli elementi più tipici del secolo. Il complesso di Villa Caprile si articola in più livelli terrazzati: il primo, dall'alto, è occupato dall'oratorio, il secondo dall'impianto a corte della villa vera e propria, il terzo, il quarto ed il quinto dai tre giardini e dalle grotte.
Il giardino è certamente l'elemento che meglio permette di comprendere quale sia il rapporto che ogni villa intrattiene con il paesaggio ad essa circostante.
Nel caso di Villa Caprile il giardino, a causa della unicità di alcuni elementi che primeggiano sul resto, sembra porsi come elemento di cesura fra villa e territorio. Indagando tuttavia più a fondo la sistemazione dei terrazzamenti, si scopre come questi seguano minuziosamente le condizioni orografiche del colle rispettando quel genius loci che era sembrato così profondamente tradito.
Dei tre terrazzamenti in cui il giardino si articola il primo era certamente quello più frequentato dal signore, è in questa terrazza che sono presenti i giochi d'acqua. Esso è quasi un prolungamento all'aperto della villa tanto da essere stato definito "sala giardino". L'uso diversificato delle essenze è ciò che caratterizza una terrazza dall'altra. Così nel primo livello c'è un tipico giardino all'italiana, nel secondo il pomario, nel terzo il viridarium. Caprile è poi arricchita da un'altra struttura vegetale estremamante interessante : il teatrino di verzura, costruito nel XVIII sec. Per allestire spettacoli di gusto arcadico.
Villa Caprile venne sempre utilizzata dai membri della famiglia Mosca, nella figura del marchese Francesco, si impegnò direttamente nella diffusione della fede giacobina. Napoleone Bonaparte fu ospite di casa Mosca il 5 febbraio 1797, e il "cittadino Francesco" innalzò il 10 aprile 1798 l'albero della libertà nella sua villa di Caprile ponendola a disposizione della cittadinanza peserese. Villa Caprile dunque da luogo elitario ed aristocratico diviene in questo periodo luogo di pubblica fruizione. La villa tornò poi per un breve periodo ad ospitare personaggi nobili essendo stata affittata dall'estate del 1817 al luglio del 1818 a Carolina di Brunswick, principessa del Galles, che da Caprile si trasferirà nella restaurata villa della Gherardesca. In città in questi anni si respira aria nuova : si riprende animatamente a discutere di politica, di letteratura, di arte, di scienze naturali. Risorgono le accademie, quasi ad imitazione di quelle già fiorenti in epoca rinascimentale, e fra queste, quella che ci interessa maggiormente è l'accademia agraria fondata con l'autorizzazione di papa Leone XII, nel 1827. Ma sarà solo nel 1876 che avendo l'accademia deciso di avviare "....una scuola a carattere stabile, per impartire ai figli dei mezzadri e degli agricoltori, la necessaria istruzione professionale...", la storia di Villa Caprile e quella della scuola tuttora esistente si uniranno. E' in quell'anno infatti che l'Accademia, nella persona del suo presidente prof. Guidi, acquista la villa per poter avviare la Colonia Agricola. L'Accademia si impegna a non stravolgere l'impianto architettonico del complesso monumentale anche se sono documentati tentativi al riguardo. In una lettera del 13 gennaio 1915 il presidente del comitato di Amministrazione della Scuola Pratica di Agricoltura domanda al Sovraintendente dei Monumenti di Ancona : "....che la villa Caprile ove ha sede la Scuola sia liberata dal vincolo di importante interesse cui è stata sottoposta, poiché -come egli afferma - non ha alcun valore storico artistico....". Fortunatamente per noi il vincolo non venne mai tolto e la scuola, trasformata nel 1924 in Scuola Agraria Media continuò a coesistere con l'edificio storico. Nel 1925 l'Accademia, non potendo far fronte agli oneri imposti dal nuovo ordinamento scolastico, vendette la villa e la sua Azienda Agricola alla Amministrazione Provinciale di Pesaro e Urbino. Durante la seconda guerra mondiale, sempre a causa della "linea gotica" anche villa Caprile subì ingenti danni. I tedeschi avevano realizzato bunker in cemento armato in quei luoghi in cui un tempo erano stati sistemati i giardini e, per non avere la visuale oscurata verso la valle, avevano abbattuto i cipressi del viale principale e del teatrino. I lavori di restauro di tutti gli elementi vegetazionali furono avviati a partire dall'ottobre del 1946 per interessamento della stessa Scuola, che impiegò il proprio personale qualificato in tutte le opere necessarie a far sì che Caprile potesse tornare a splendere come nei secoli passati.

Casa Rossini
Gioachino Rossini nacque il 29 febbraio 1792 nella casa che oggi ospita il museo a lui dedicato. La tradizione vuole che il musicista venisse alla luce nella stanza al primo piano che si affaccia su via Gavardini. Nel 1798 la famiglia si trasferì in palazzo Baviera in piazza Grande : è naturale, quindi, che nulla ricordi perfettamente la presenza dell'artista, data la sua brevissima permanenza in quella casa. Le lunghe trattative per l'acquisto della casa rossiniana avviate dal comune di Pesaro all'inizio degli anni'80 del secolo scorso si sono concluse con la stipula dell'atto di vendita in data 27 febbraio 1892 ; il 29 febbraio 1904, con Regio Decreto, l'edificio venne dichiarato monumento nazionale. Il nucleo centrale della raccolta, costituito da circa 160 stampe e da un busto in terracotta, fu donato nel 1904 dal collezionista parigino Alphonse Hubert Martel, ammiratore dell'artista. Quasi tutto il materiale conservato presso la casa Rossini proviene da varie donazioni, che rivestono un notevole valore documentario relativo all'iconografia del compositore pesarese e degli interpreti rossiniani. Il museo è suddiviso in tre sezioni : stampe riguardanti gli interpreti rossiniani ; stampe e ritratti dell'artista, fra cui un disegno di Gustave Dorè del 1869 e due acqueforti dello stesso che ritraggono Rossini sul letto di morte ; filmati di opere rappresentate nelle stagioni del Rossini Opera Festival.

Teatro Rossini
Sorto sull'area delle scuderie roveresche, è stato inaugurato il 23 febbraio 1637 con il nome di Teatro del Sole. L'impianto scenico fu realizzato dal pesarese Nicolò Sabbatini. L'edificio ha subito varie vicissitudini architettoniche : nel 1694 sono stati costruiti tre ordini di palchi ; nel 1788 Tommaso Bicciaglia ha ristrutturato completamente l'ingresso su cui è rimasto l'antico portale bugnato dell'architetto Filippo Terzi, sormontato dal grande ovulo recante un tempo lo stemma ducale abraso dai repubblicani nel 1797. Nel 1790 il pittore veneziano Andrea Giuliani ha rinnovato totalmente la platea, le decorazioni del soffitto, delle corsie e dei palchi. Nel 1816 il Consiglio Comunale decretò la riedificazione dell'edificio : i lavori, sotto la direzione dell'architetto Pietro Ghinelli di Senigallia, terminarono nel 1818 : l'interno ha assunto allora la tipica struttura ottocentesca neoclassica cosidetta del teatro all'italiana. Fra il 1817 e '18 il milanese Angelo Monticelli eseguì , secondo i canoni della pittura neoclassica , il sipario dipinto raffigurante la Fonte di Ippocrene. Con il nome di Teatro Nuovo, fu inaugurato il 10 giugno 1818 con la rappresentazione della "Gazza ladra", sotto la direzione dello stesso Rossini al quale, nel 1855, il teatro fu intitolato. Ulteriori interventi di restauro posero rimedi ai danni subiti dai terremoti del 1916 e del 1930 : il 30 agosto 1934 il teatro fu nuovamente inaugurato con la rappresentazione del "Guglielmo Tell".
Dichiarato inagibile nel 1966, l'Ufficio Tecnico Comunale ha effettuato il rinsanamento delle strutture portanti, il rifacimento del tetto ed il consolidamento statico. E' stato riaperto al pubblico nel 1980 con un concerto di Luciano Pavarotti.



Museo del mare
Tra il 1985 e il 1986 è sorto il Museo del Mare con la finalità di raccogliere in un unico luogo le testimonianze relative alla storia della marineria pesarese, nella sede di Villa Molaroni, di proprietà comunale, edificata agli inizi del Novecento. Il museo è costituito da due sezioni : nella prima è illustrata la storia del porto di Pesaro, dalle origini ai giorni nostri ; nella seconda sono evidenziati gli aspetti più importanti della vita marinara, sono esposti modelli di imbarcazioni, utensili di lavoro, capi di vestiario, riproduzioni fotografiche.
E' annessa al Museo una biblioteca specializzata in navigazione, pesca, fondali, biologia marina e letteratura marinaresca.

Biblioteca e Musei Oliveriani
Nel 1756 l'erudito pesarese Annibale degli Abbati Olivieri (1708-1789) donò alla comunità, oltre alla sua cospicua "libreria", una pregiata raccolta di oggetti antichi, formata principalmente da materiale di scavo. Nel 1787 con atto testamentario, divenuto esecutivo alla sua morte, donò anche una importante raccolta di materiale archeologico e numismatico, comprendente anche quella affidatagli come legato dall'amico ed erudito pesarese Giovan Battista Passeri.
Ebbe così origine la "Fondazione Oliveriana", riconosciuta con decreto pontificio il 24 giugno 1792 e divenuta Ente Morale con Regio Decreto del 15 settembre 1932.
Fu aperta al pubblico il 2 maggio 1793 in palazzo Olivieri-Machirelli, oggi Conservatorio Rossini.
Tra il 1885 ed il 1892 Biblioteca e Museo furono trasferiti nell'attuale sede di via Mazza in Palazzo Almerici (XVIII sec.)
Varie donazioni si sono aggiunte in seguito alle raccolte originarie : l'annesione più notevole quella costituita dai reperti provenienti dalla necropoli dell'età del ferro, venuta alla luce tra il 1892 e '93 nei pressi di Novilara.


Pescheria
L'edificazione della Pescheria fu approvata nella seduta consiliare del 16 novembre 1820 : il progetto e la direzione dei lavori furono affidati dal Municipio di Pesaro all'ingegnere Pompeo Mancini (Ferrara 1780-Pesaro 1856) - allora sottoispettore del Corpo degli ingegneri pontifici e ingegnere capo della provincia Metaurense - che portò a termine l'edificio nel triennio 1821-23, comprese anche fabbriche accessorie, fra cui il lavatoio pubblico contiguo alla Pescheria lungo via Cavour. Il prospetto laterale su via Cavour è costituito da dodici colonne in cotto di ordine dorico, mentre quello sul corso è addossato alla seicentesca chiesa del Suffragio, attribuita all'architetto pesarese Nicolò Sabbatini, ma ormai quasi non più riconoscibile nella facciata mutilata dalle demolizioni , un tempo imponente a tre ordini sovrapposti, ornati da paraste, quadrature e rosoni. Due fontane in marmo d'Istria posti tra gli intercolumni ornavano i lati dell'ingresso principale della Pescheria sul corso. E' rimasta, seppur rovinata, la fontana in pietra, a conchiglia e a bacino semicircolare con vari ornati, situata nella parete di fondo dell'unico grande ambiente costituente l'interno, che ha conservato il soffitto a trabeazioni in legno, mentre sono stati rimossi i banconi in pietra per la vendita del pesce.
Smessa la funzione originaria, la Pescheria è stata convertita nel 1996 in spazio espositivo di "Centro per le Arti Visive".


Musei Civici
Nel 1861 due decreti emanati dal Regio Commissario Lorenzo Valerio incrementarono il patrimonio museale con l'acquisizione delle opere d'arte provenienti dalle chiese in seguito alla soppressione delle congregazioni religiose. Tra il 1880 ed il 1920 il patrimonio artistico si arricchì con lasciti e donazioni di munifici cittadini.
Il 1° agosto 1920 i Musei Civici furono inaugurati nella sede del Palazzo Ducale ; nel 1936 furono trasferiti in Palazzo Toschi Mosca dal Soprintendente Guglielmo Pacchioni, con la collaborazione di Luigi Michelini Tocci e Giorgio Ugolini.

Museo delle ceramiche
Il museo delle ceramiche, unitamente alla Pinacoteca, ha sede in Palazzo Toschi Mosca. Esso ospita gli oltre 300 pezzi della raccolta Mazza, che comprende maioliche dei secoli XIV-XVI realizzate nelle botteghe di Pesaro, Urbino, Casteldurante.
Molte maioliche sono attribuite ai maggiori artisti dell'epoca come Orazio Fontana e la sua bottega, Giacomo e Giovanni Lanfranco, Alfonso Patanazzi, i Fontana, Francesco Xanto Avelli.
Della raccolta fanno parte anche maioliche prodotte a Gubbio e Deruta ed in particolare alcuni pezzi di Mastro Giorgio Andreoli da Gubbio. Nel Museo è ospitata la donazione Ugolini comprendente maioliche dei secoli XVIII e XIX, provenienti dall'officina pesarese Casali e Callegari, nota per la decorazione alla "rosa di Pesaro", e terraglie ottocentesche della manifattura Benucci e Latti.

Pinacoteca
La Pinacoteca comprende molte ed importanti opere di primitivi veneti, toscani e, soprattutto, bolognesi attivi tra il XIV e XV secolo (Paolo veneziano, Jacobello del Fiore, Mariotto di Nardo, Vitale da Bologna, Simone di Filippo, Giovan Francesco da Rimini, Marco Zoppo, Michele di Matteo, Nicolò di Pietro ed altri). Nelle sezioni dedicate al periodo compreso tra il XV e XVIII secolo sono presenti opere di artisti come Francesco di Giorgio Martini, Giovanni Bellini presente, tra l'altro, con la sua immensa ed importante Pala d'altare, Raffaelin del Colle, Domenico Beccafumi, Guido Reni , Simone Cantarini, Francesco Maffei, Giannandrea Lazzarini.

Sinagoga
La sinagoga risale alla seconda metà del '500 , mentre nel 1634 venne istituito il ghetto.
L'edificio si trova nel cuore della città vecchia, per ovvie ragioni di sicurezza non presenta all'estero alcun segno che lo faccia individuare come luogo di culto.
Il portone d'ingresso, riservato agli uomini , si apre nella facciata rivolta a sud-est verso Gerusalemme ; accanto vi è l'ingresso, più piccolo, riservato alle donne, che attraverso una ripida scala conduce al matroneo.
I pregevoli manufatti dell'interno sono stati trasferiti in sinagoghe ancora aperte al culto : l'Arca santa (Aròn), in legno intagliato e dorato eseguita nel 1708 dall'ebanista Angelo Scacciani, è a Livorno ; il balconcino settecentesco (Tevàh), in legno intagliato, che delimitavano il matroneo, sono nella sinagoga di Talpioth (Gerusalemme).
Ai lati del ballatoio della Tevàh due dipinti a tempera raffigurano a sinistra le mura e la cupola del Tempio di Gerusalemme e a destra l'accampamento degli ebrei e la tenda-tabernacolo in cui era custodita l'Arca Santa ai piedi del monte Sinai.
Sotto la direzione della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici delle Marche sono ancora in corso i lavori di restauro dell'edificio.

La sfera di Arnaldo Pomodoro
Libertà è la sensazione che trasmette lo spazio dove ricollochiamo la Sfera Grande di Arnaldo Pomodoro.Libertà evocata dal nome del piazzale, poco noto in verità, soppiantato come è stato dalla forza di identificazione che ha avuto la "palla".
Chissà se quando si scelse quel nome così appropriato si pensò solo alla consequenzialità ideale di Popolo, Repubblica, Libertà, ma certo pochi luoghi cittadini hanno un nome così intriso della percezione del luogo. Libertà di far correre l'occhio abbracciando il centro antico, i colli, il mare.
Libertà di godersi il tempo per sé, per lo svago, per gli incontri, per le vacanze.
Libertà di avere bei ricordi, come quelli legati al vecchio Kursaal, porta maliziosa e accattivante verso il proibito, fatto di mutandoni ed improbabili parasole.
Libertà di rivendicare la forza intellettuale di un'operazione culturale avviata negli anni '70 che ha portato artisti diversi a dialogare con lo spazio urbano senza timori reverenziali ma anche con grande rispetto e sensibilità.
Libertà per tutto quell'immaginario collettivo che passa con gli anni ma in verità si ferma nei luoghi e consente ai luoghi di comunicare.
La forza della Sfera Grande di Arnaldo Pomodoro è di aver esaltato quest'idea di libertà non come stereotipo ideologico, ma come vissuto autentico ; con il suo libero rotolare, dove nessun e tutti i punti d'appoggio possono essere fisicamente tali e quindi definitivi ; con le sue parti levigate in cui specchiarsi e le sue cavità in cui perdersi, scorrendo dentro ai mille segreti dell'immaginazione.
Non era facile, anzi diciamolo, un'impresa davvero difficile, che per l'esito sancisce in definitiva una grande vittoria della libertà di artista, capace di sintetizzare le tante sollecitazioni che gli giungono senza farsi dominare da nessuno di esse, riproponendole in un discorso originale dove nessuno si sente mortificato nelle sue convinzioni ma ognuno è spinto a riflettere in modo diverso, più ricco e quindi migliore.
La sfera è un oggetto meraviglioso, la sfera viene dalla maga, dai maghi, che sia di vetro che sia di bronzo, che sia piena d'acqua ; e anche la sfera è il ventre materno, penso......
La sfera è un oggetto straordinario perché riflette qualsiasi cosa che ci sia attorno e crea contrasti tali che a volte si trasforma e non appare più , resta invece il suo interno , tormentato e corroso, pieno di denti , e alcuni dicono che è un elemento che si può agganciare alla tecnologia, non so, è strano il rapporto ........
Tutto quello che c'è dentro la sfera è proprio l'energia in una forma. La sfera può rappresentare anche la terra ; la sfera può rappresentare il mondo, il mondo d'oggi.....che può essere corroso dalla civiltà tecnologica. Io non lo so : io desidero che, guardando la sfera, ci sia nell'interno questa vitalità ; e uno possa anche visualizzare il fatto che la sfera si possa scindere, come un campo di forze. Ecco ciò che mi muove a fare le sfere : rompere queste forme perfette e magiche per scoprirne le fermentazioni interne, misteriose e viventi, mostruose e pure ; così provoco col lucido levigato un contrasto, una tensione discordante, una completezza fatta di incompletezze. Nello stesso atto, mi libero di una forma assoluta. La distruggo. Ma insieme la moltiplico .
L'opera si può leggere allora continuamente, di giorno in giorno, ; e così possiede, secondo me, la sua migliore continuità : che non risponde semplicemente a un consumo, ma risponde piuttosto a un bisogno di scoperta che è in tutti e che in tutti è insoddisfatto della meccanica industruiale.
E' importante il fatto che le mie sfere si possono anche spostare, ruotare : hanno così anche "sotto le mani" il valore di movimento e partecipazione che hanno nella visualità.
Posta quasi all'estremo di un asse che organizza e da struttura all'intero territorio pesarese, la sfera di Arnaldo Pomodoro non lo chiude, ma con la sua forma inquietante invita ad andare al di là.
Posta all'inizio di un percorso che penetra nel cuore della città e dei suoi abitanti, la sfera suggerisce di investigare in ogni direzione, curiosi ed aperti, privi di giudizi ed obiettivi precostituiti.
Per questo essa è simbolo di contemporaneo.
Comprendere la società e la città contemporanea non è facile,soprattutto quando si rifiuti ogni facile attribuzione di colpa ad ogni schematico giudizio in ordine alla saggezza degli antichi e dei moderni. Molti artisti, pittori, scultori, cineasti, o fotografi, scrittori o musicisti, obbligandoci a spostare di poco il nostro punto di vista, straniandolo, ci hanno mostrato, negli anni recenti, l'opera d'arte che potrebbe essere, che in parte già è la città contemporanea. Un'opera d'arte certamente diversa da quella del passato , nella quale la molteplicità, l'eterogeneità, le differenze che percorrono la società dei nostri giorni, non hanno modo di rappresentarsi altro che nella infinita varietà dei luoghi o nell'astrazione di simboli aperti alle più diverse interpretazioni : come è appunto questa sfera posta tra la terra e l'acqua, tra la natura e la città, sospesa sul limite, tra ciò che è stato e ciò che non è ancora.
Da sempre la città , ogni città, è, nel suo complesso, un'opera d'arte : la città antica, come quella moderna e contemporanea. Condivisa o rifiutata, da sempre oggetto di polemiche violente, amata o ritenuta causa dei nostri mali collettivi, la città è una delle forme di espressione artistica più complesse e paradossali ; in essa si esprime la nostra cultura senza che i più ne portino una immediata ed evidente responsabilità.
Eppure ogni giorno, con le nostre azioni minute, costruendo la nostra casa, parcheggiando la nostra automobile o bicicletta, frequentando e sostando in determinati luoghi , utilizzandoli correttamente od in modi impropri, depositandovi i segni del nostro immaginario , contribuiamo, singolarmente e collettivamente , alla sua costruzione, modificazione e trasformazione.
Esattamente come secoli fa , tra molte polemiche , consensi e rifiuti, hanno fatto gli abitanti della città che ora giudichiamo antica e che un giorno è stata contemporanea.
La città è opera d'arte in un senso assai più profondo e diffuso di quanto comunemente si ritenga : nelle sue pavimentazioni, non solo nei suoi edifici, nelle sue alberature, nei suoi spazi aperti, nella sua illuminazione, non solo nei suoi portali, nelle sue fontane e nelle sue sculture che le adornano, nelle pratiche sociali che la attraversano, non solo nelle collezioni che vi sono ospitate.
Nei suoi muri, entro i suoi edifici e nei suoi spazi, gli abitanti depositano l'immagine di se', dei propri ideali , credenze e paure, rappresentano i propri eroi ed i propri dei, le proprie origini e destini : in modi referenziali, attraverso raffigurazioni del Davide, piuttosto che degli dei e dei Fiumi , od in modi più astratti ed ermetici.
Ciò avviene tanto più, quanto più gli abitanti siano consapevoli del carattere collettivo dello spazio urbano, quanto più essi si sentano rappresentati nella e dalla città che abitano. Vi sono stati tempi, come noto, nei quali, l'investimento della città nella propria rappresentazione è stato molto forte : l'immaginario religioso, del potere o della magnificenza civile hanno suggerito, il più delle volte, temi e forme espressive. La nostra cultura, individualistica, ed acquisitiva, protesa al possedere, piuttosto che all'usare, all'avere per sé , piuttosto che al godere insieme agli altri ,è stata particolarmente avara nei confronti della città : le nostre case sono, mediamente, più ricche della città. Le grandi collezioni d'arte sono rinchiuse laddove si cela ciò che si possiede ; in modo mortificante leggi, spesso trasgredite, impongono che all'arte venga destinato qualche punto percentuale dell'investimento edilizio pubblico. Con questi criteri non si sarebbero mai costruite le grandi cattedrali, i monumenti delle nostre città.
Premuti dall'urgenza di bisogni incomprimibili , dall'inuguaglianza degli individui nei confronti delle condizioni materiali della vita urbana, abbiamo progressivamente richiuso il nostro immaginario, l'abbiamo affidato ad un linguaggio simbolico ridotto ed utilitarista, abbiamo forse perso la capacità di progettare un futuro che trascenda le nostre esigenze immediate ed il tempo della nostra vita individuale.
L'inaugurazione della sfera di Arnaldo Pomodoro vorrei fosse, almeno a Pesaro, l'inizio di un periodo più generoso nei confronti della città ; di un periodo nel quale si ricominci a riconoscervi la natura del nostro vivere in comune, di un nuovo periodo di "magnificenza civile". Le città italiane ne hanno particolarmente bisogno e Pesaro, che ha una lunga storia di attenzione alle dimensioni pubbliche e collettive della propria vita, una storia che ha saputo giungere sino a tempi a noi assai vicini, potrebbe mostrare che costruire una città a noi contemporanea come opera d'arte è ancora possibile e alla portata delle nostre capacità, non solo dei nostri desideri.